La magnificenza del Principe

Nel corso del Quattrocento fra le Virtù sovrane per eccellenza vengono annoverate sempre più spesso la Magnificenza e la Liberalità: ossia la predisposizione del principe a commissionare grandiose opere d’arte e d’architettura, offrendo così una manifestazione tangibile della sua volontà di non accumulare potere e ricchezze per se stesso, da tiranno, ma di impiegarle per accrescere l’onore e il prestigio della dinastia, a servizio del bene pubblico.

Questa idea, che in seguito avrebbe fornito la principale giustificazione ideologica alle grandi operazioni urbane quattro-cinquecentesche (presentate quasi sempre come mirate al benessere dei sudditi), aveva inizialmente trovato espressione sul piano dell’arte di corte per eccellenza: la miniatura.
Già allora stigmatizzate come segni di vanità, in realtà le manifestazioni di magnificenza degli Estensi - e di Borso in particolare - avevano dunque un dichiarato intento politico-ideologico: «lo è in grandissimo errore chadauno che ni stimi superbo ni ambitioso» - scriveva Borso nel 1468, quasi in risposta alle parole sprezzanti di Pio II - «cunciosia che se havemo cercho de exaltare la Casa l’h

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